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Naoto Matsumura, cinquantadue anni, ha trascorso tutta la sua vita a Tomioka, una cittadina che dista sedici chilometri da Fukushima, e non intende andarsene. Questo nonostante il piano di evacuazione ordinato dal governo giapponese abbia previsto di allontanare tutti coloro che abitavano nel raggio di venti chilometri dai reattori della centrale danneggiata dall’accoppiata killer terremoto/tsunami dell’ 11 marzo scorso. L’uomo, agricoltore da cinque generazioni, ha iniziato la sua disobbedienza proprio il giorno dopo il terremoto, il 12 marzo, mentre i 78mila residenti nell’area a maggiore rischio di contaminazione radioattiva abbandonavano le loro case. Il piano approntato dalle autorità però non prevedeva alcuna misura per evacuare anche le migliaia di animali che si trovavano sul territorio. Matsumura è rimasto a casa soltanto per nutrire i suoi animali; ma poco alla volta molti cani e gatti abbandonati, spinti dalla fame, hanno iniziato ad avvicinarsi alla sua proprietà. Da allora l’unico residente della zona è anche l’unica fonte di nutrimento per un gran numero di animali randagi. A quasi un anno di distanza dal disastro nucleare, l’area di venti chilometri di raggio che si estende attorno a Fukushima è un cimitero a cielo aperto. Le carcasse di cani, gatti ma anche di mucche e maiali sono sparse un po’ ovunque. Numerose associazioni animaliste avevano fatto pressione sul governo giapponese affinché si procedesse al salvataggio di tutti gli animali, ma le autorità hanno risposto che si trattava di un’operazione che comportava gravi rischi per coloro che sarebbero stati deputati a metterla in pratica. Nel dicembre scorso è stato consentito a un gruppo di animalisti l’ingresso nell’area evacuata. I volontari hanno portato via circa 250 cani e un centinaio di gatti, riuscendo in seguito a rintracciare l’80 per cento dei proprietari. “Sono pieno di rabbia – sbotta Naoto Matsumura, intervistato da Cnn – Ed è questa la ragione per la quale sono ancora qui. Mi rifiuto di andarmene portando con me questa rabbia e questo dolore. Piango ogni volta che guardo la città nella quale sono nato. Il governo e la gente di Tokyo non sanno quello che sta succedendo qui”. Da quando ha deciso di rimanere per dar da mangiare ai randagi, Naoto esce dall’area solo per procurarsi nuovo cibo per i suoi amici a quattro zampe. L’uomo rammenta che dopo alcune settimane dall’evacuazione la maggior parte delle mucche erano morte. Vermi e mosche ricoprivano le carcasse e l’odore era insopportabile. Ma la scena peggiore ricordata da Naoto Matsumura riguarda una mucca con il suo vitellino che l’agricoltore ritrovò in pessime condizioni nella fattoria di un vicino: “la mucca era pelle e ossa e il suo piccolo piangeva e cercava ostinatamente di attaccarsi alle mammelle della madre. Ma lei, forse temendo che se avesse nutrito il cucciolo sarebbe morta, lo allontanava scalciando. La scena si ripetè diverse volte e alla fine il vitellino si rintanò in un angolo della stalla e prese a succhiare della paglia, come se fossero le mammelle di sua madre”. Il giorno dopo Naoto tornò alla fattoria e trovò entrambi gli animali morti. E’ stato dopo avere assistito a decine di scene come questa che il signor Matsumura ha iniziato a concedere interviste ai corrispondenti esteri di varie testate, sottolineando come i media giapponesi stiano ignorando un aspetto drammatico delle conseguenze dell’incidente di Fukushima. “Il governo e la Tepco non stanno facendo nulla – sostiene Naoto Matsumura – Loro sono i responsabili e non ci considerano nemmeno delle vittime. Raccontano che stanno lavorando all’interno dell’area evacuata, ma in realtà non stanno facendo nulla”. Il ribelle solitario spera in un’accelerazione delle opere di bonifica perchè se mantengono il ritmo attuale teme che non vivrà abbastanza per vedere tornare a casa i suoi concittadini. Naoto Matsumura vive in una città fantasma, senza elettricità e beve l’acqua estratta da un pozzo vicino alla sua casa. Dopo essersi sottoposto agli esami per misurare i livelli di contaminazione il suo organismo è risultato “completamente contaminato”. Ma nemmeno questo è stato sufficiente a farlo recedere dai suoi propositi infatti, in qualità di unico cittadino di Tomioka, ha dichiarato di volere seguire da vicino le opere di bonifica commissionate dal governo. “Dobbiamo decontaminare quest’area o questa città morirà. Io rimarrò qui per essere sicuro che questo venga fatto e perchè voglio morire dove sono nato”.



Un pool di medici canadesi e americani sta organizzando una conferenza per esplorare il potenziale impatto sull’ambiente e sulla salute dei propri connazionali dell’incidente nucleare giapponese, sottolineando come ci sia ancora molto da fare in termini di controllo e informazione sul disastro di Fukushima e sulle sue conseguenze. La conferenza, intitolata The Fukushima Nuclear Disaster – One Year Later, si terrà il 12 marzo prossimo nell’Harbour Centre Campus della canadese Simon Fraser University e riunirà numerosi esperti che confronteranno le proprie informazioni sugli effetti dell’esposizione alle radiazioni di Fukushima e l’impatto che ha avuto sulla salute (globale e locale), sull’ambiente e sull’economia nel 2011. Gli studiosi intendono utilizzare questa opportunità commemorativa per esaminare a fondo il ruolo dell’energia nucleare rispetto alle future esigenze energetiche del mondo. “Questo è stato il peggiore disastro nucleare dai tempi di Chernobyl – ha dichiarato Tim Takaro, professore associato presso la facoltà di Scienze della salute alla Simon Fraser University – Il rilevamento e la segnalazione dei livelli elevati di radiazioni è stato sospeso già nei primi giorni della crisi. Inoltre sebbene le notizie su Fukushima siano in gran parte assenti dai nostri media, suggerendo che il pericolo è passato, sappiamo che lo sforzo per contenere i quattro reattori danneggiati (almeno tre dei quali hanno avuto esplosioni al loro interno) sta continuando. Senza dati affidabili sulla quantità di radiazioni rilasciate nell’acqua di mare e nell’atmosfera e la concentrazioni presenti in tutta la nostra catena alimentare, non abbiamo nemmeno gli strumenti per prevedere le conseguenze a lungo termine”.



La parola “kizuna”, che si può tentare di tradurre come legame o solidarietà, è stata scelta come kanji del Giappone del 2011. Tra i kanji, i caratteri di scrittura pittorica cinese, la parola kizuna è stata scelta dalla popolazione giapponese attraverso un sondaggio come quella che meglio riassume l’anno appena trascorso. Per il Giappone il 2011 è stato dominato dal terremoto e dallo tsunami del marzo scorso. L’immane disastro ha portato un numero senza precedenti di giapponesi ad aiutarsi l’un l’altro. Dopo che lo tsunami si è schiantato sulla costa nordorientale del Giappone, uccidendo migliaia di persone e inghiottendo intere comunità, lo stoicismo della popolazione e la loro determinazione a cooperare ha suscitato l’ammirazione del mondo intero. Nel mese di aprile, il primo ministro Naoto Kan ha ringraziato il mondo per gli aiuti ricevuti in una lettera dal titolo “Kizuna – i legami di amicizia”. E quando il Giappone ha inaspettatamente battuto gli Stati Uniti, vincendo la finale dei campionati mondiali di calcio femminile, la parola kizuna è stata più volte citata con orgoglio. Al sondaggio per scegliere il khanji dell’anno, portato avanti dalla Kanji Aptitude Testing Foundation, hanno preso parte all’incirca mezzo milione di giapponesi. In sessantamila hanno optato per kizuna, ma il secondo khanji ha un significato opposto e assai poco ottimista: wazawai significa infatti disastro. Per molti abitanti del Paese del Sol levante il 2011 è stato un anno decisamente poco generoso dal punto di vista dei legami personali. Infatti secondo un’azienda specializzata in cerimonie di divorzio, da quando la situazione post-terremoto si è normalizzata, il volume di affari legato alle separazioni si è triplicato. In Cina invece un analogo sondaggio ha portato alla vittoria il kanji “kong” che significa controllo, scelto in opposizione a quello dell’anno scorso che era stato zhang, vale a dire aumento dei prezzi.



Da tempo circola in rete la nefasta voce di un imminente e devastante terremoto che dovrebbe colpire la città di Roma l’11 maggio prossimo. Tutto originerebbe dalle previsioni di tal Raffaele Bendandi (Faenza 1893 – 1979) scienziato autodidatta (come professione svolgeva quella di intagliatore di legno). Bendandi elaborò una sua personale teoria sulla natura dei terremoti e sulle cause che li determinano. I suoi studi e le sue previsioni, peraltro non accettate dalla comunità scientifica, si basano sull’assunto che la crosta terrestre, così come le maree, sia soggetta agli effetti di attrazione gravitazionale della Luna, del Sole e di tutti i pianeti del sistema solare. Il 23 novembre 1923 fece registrare ad un notaio di Faenza una sua previsione: il 2 gennaio 1924 si sarebbe verificato un terremoto nelle Marche. Il terremoto effettivamente si verificò a Senigallia due giorni dopo e, nonostante la leggera imprecisione, il Corriere della Sera gli dedicò ugualmente la prima pagina, chiamandolo “colui che prevede i terremoti” e la sua fama crebbe anche a livello internazionale. Nel corso del ventennio fascista, Bendandi fu dapprima insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia nel 1927 (e forse per questa ragione battezzò i quattro nuovi pianeti extra nettuniani che sostenne di avere scoperto l’anno successivo con i nomi di Rex, Dux, Roma e Italia) ma in seguito venne diffidato dal pubblicare ulteriori previsioni sui terremoti in Italia, pena l’esilio. Nel 1959 Bendandi sostenne di aver scoperto un nuovo pianeta all’interno del sistema solare tra Mercurio e il Sole, cui diede il nome della sua città natale, Faenza. Sulla base della sua ipotesi, Bendandi predisse anche il terremoto del Friuli nel 1976: cercò inutilmente di avvisare le autorità competenti, che lo trattarono come un ciarlatano. Morì il 3 novembre 1979 e solo anni dopo, soprattutto grazie all’associazione La Bendandiana, iniziò un lavoro di raccolta e classificazione degli scritti e degli studi lasciati da Bendandi. Al momento sono state raccolte 103 previsioni, 61 delle quali riguardano l’Italia. Il fatto che smentisce la previsione del cataclisma che dovrebbe abbatersi su Roma non sta tanto nella confutazione delle teorie di Bendandi quanto nella circostanza che la stessa Bendaniana ha negato che negli scritti ritrovati sia presente qualche riferimento. “Non ho idea di come sia nata questa storia dell’11 maggio – ha detto Paola Pescarelli Lagorio, direttrice dell’Osservatorio Bendandi – Fatto sta che la notizia falsa è dilagata su internet. Nelle carte che ci ha lasciato, e che stiamo analizzando da tempo, questa data non è mai citata. E’ vero che lo studioso ci ha lasciato alcune previsioni che vanno dal 1996 al 2012 ma, molto probabilmente, riguardano le tempeste magnetiche e non i terremoti. E soprattutto, non è indicato alcun luogo”. Quel che è certo è che esistono aspetti suggestivi del lavoro del sismologo faentino come la presenza nelle sue carte di una data, 11 marzo senza la specificazione dell’anno, giorno nel quale il Giappone è stato disastrosamente scosso dall’accoppiata terremoto/tsunami.



Stefan ed Erika Svanstrom sono partiti da Stoccolma per il loro viaggio di nozze il 6 dicembre scorso e immediatamente sono stati costretti da una tempesta di neve a riparare a Monaco di Baviera. Da lì sono in seguito volati a Cairns, in Australia, dove si è abbattuto uno dei più violenti cicloni della storia nazionale. La coppia, con figlioletta al seguito, si è quindi recata a Brisbane appena in tempo per assistere a una devastante alluvione, mentre dirigendosi verso Perth sono sopravvissuti a un incendio boschivo. Scampato anche questo pericolo la coppia ha raggiunto Christchurch che era appena stata colpita da un terremoto. Quindi non potendo visitarla hanno deciso di andare a Tokyo, arrivando nella capitale nipponica immediatamente dopo che il sisma e il conseguente tsunami si erano abbattuti sul Giappone. “Dire che siamo stati sfortunati con il tempo non è abbastanza – ha detto Erika Svanstrom – E’ stato tutto così assurdo che possiamo soltanto ridere”.



Dopo il sisma che ha colpito il Giappone lo scorso undici marzo, il Nippon Budokan (un’arena situata nella zona centrale di Tokyo, costruita nel 1961 in vista delle Olimpiadi di Tokyo del 1964) è diventato un rifugio sicuro e altamente organizzato per circa trecento terremotati. Tra questi ve ne sono alcuni che forse mai potranno fare ritorno alle loro case: gli abitanti della zona di Fukushima, la città giapponese interessata dalle fughe radioattive dovute al surriscaldamento del nocciolo di alcuni reattori, a seguito dei cedimenti strutturali causati dallo tsunami. Oggi il Telegraph offre uno spaccato della vita all’interno del palazzetto con particolare attenzione alle aspettative e alle paure delle persone che hanno trovato rifugio sotto il tetto del Budokan, lontane dal pericolo radioattivo. Le possibilità di fare ritorno alle proprie abitazioni e alla propria città natale sono legate, per gli abitanti di Fukushima, al tempo di dimezzamento degli isotopi radioattivi (la quantità di tempo che occorre affinché la metà degli atomi di una data quantità pura dell’isotopo in questione decada, cioè si trasformi in un altro elemento, disintegrandosi). A questo proposito rivestirà un ruolo molto importante anche la fiducia nel governo, e nelle dichiarazioni dei suoi esponenti, da parte dei giapponesi, che attualmente è in netto ribasso. Molte delle persone sfollate al Budokan temono fortemente che non rivedranno Fukushima e che le loro case saranno condannate a marcire in una città resa fantasma dalla minaccia radioattiva. Inoltre tutti hanno già capito che, in futuro, Fukushima verrà ricordata, con Chernobyl, come il disastro nucleare per eccellenza e l’esempio di ciò che non deve accadere. Hinata Sahara è una bimba di otto anni, giunta al Budokan con la sorella minore e la madre, e al cronista che le chiede perché ha dovuto lasciare la sua casa, risponde: “Houshanou (radiazione in giapponese) – e aggiunge – sì, lo so cos’è, è aria cattiva e fa venire il cancro agli esseri umani. Non la puoi vedere ma la puoi respirare e poi ti ammali. Io voglio tornare a casa ma dobbiamo aspettare fino a che (houshanou) non se ne va”. Il parquet del Budokan e affollato di persone che dormono avvolte nelle coperte, lo spazio viene diviso tra le famiglie presenti, la maggior parte con bambini, che costruiscono delle piccole residenze “private” circolari utilizzando tappetini, come pavimento, e cartoni come pareti. I nuovi arrivi vengono scrupolosamente registrati da funzionari municipali e benchè la situazione sia piuttosto affollata, tutti si attengono alle regole del vivere civile. Ogni giorno arrivano al Budokan numerosi pacchi anonimi che contengono vestiti per bambini, dolciumi, frutta e libri, dono silenzioso degli abitanti di Tokyo. Le persone fanno la fila ordinatamente per avere accesso a una delle due postazioni internet disponibili o per telefonare. Oppure stazionano davanti all’unico televisore alla ricerca di notizie aggiornate sull’evoluzione della situazione. Il ventenne Ryo Igarashi è fuggito non appena ha saputo dei problemi alle centrali, con lui la fidanzata, la madre e la nonna. “Ci sono voluti nove giorni. Siamo partiti il tredici e siamo arrivati qui il ventuno di marzo. Fukushima non è lontana (224 chilometri), ma non sapevamo dove andare. I media ci hanno detto di andare via dai dintorni della centrale e così abbiamo fatto, ma non sapevamo a chi chiedere indicazioni e non riuscivamo a trovare carburante. Così, dormivamo in macchina e ascoltavamo le news alla radio. Abbiamo continuato ad andare avanti e, alla fine, siamo arrivati qui. Ora siamo abbastanza lontani”. In piena notte, la tv del Budokan trasmette la notizia che finalmente i sei reattori di Fukushima sono stati nuovamente connessi alla rete elettrica e tra i pochi ancora svegli si diffonde una scossa di eccitazione. “Questo significa che possono far ripartire il sistema di raffreddamento – esclama Ryo Igarashi – e che forse un giorno potremo fare ritorno a casa”. Buona fortuna, in giapponese, si dice ganbatte-ne.



Sabato prossimo, 19 marzo, la luna ci apparirà, condizioni metereologiche permettendo, un po’ più grande del solito; si verificherà infatti quello che viene definito un perigeo lunare, nel corso del quale il nostro satellite si avvicinerà alla distanza minima dalla Terra, vale a dire soli 356.577 chilometri. Alcune delle precedenti super-lune sono comparse in concomitanza di catastrofici eventi naturali. Per esempio nel 2004, quando molte delle nazioni che si affacciano sull’Oceano Indiano furono devastate da uno tsunami o quando l’anno successivo un uragano, Katrina, colpì la costa del Golfo degli Stati Uniti e distrusse gran parte della città di New Orleans. Trent’anni prima, nel 1974, all’apparire della super-luna, un altro possente uragano, Tracy, rase quasi al suolo la città di Darwin, in Australia. Ma, aldilà dei precedenti e delle interpretazioni apocalittiche che si stanno diffondendo sul web, la comunità scientifica non prende molto sul serio la minaccia rappresentata dal fenomeno del perigeo lunare. La miglior risposta a chi in questi giorni sostiene che proprio l’avvicinamento della Luna al nostro pianeta abbia causato anche la devastante accoppiata terremoto/tsunami che ha colpito il Giappone (è il caso dell’astrologo americano Richard Nolle, inventore del termine Superluna, che nei giorni precedenti al sisma giapponese aveva predetto temibili eventi naturali nei giorni attorno al 19 marzo), viene dall’astronomo Peter Wheeler del International Centre for Radio Astronomy: “sulla Terra assisteremo, al massimo, a deboli variazioni dei flussi di marea. Non ci saranno né terremoti né eruzioni vulcaniche che non sarebbero capitati ugualmente”. Un altro esperto australiano, David Reneke, sostiene che l’allarmismo apocalittico legato al perigeo lunare sia da ascrivere più alle paure umane che ai dati scientifici “Volendo si pùò associare qualunque catastrofe a normali avvenimenti del cosmo. Qualcuno in passato ha cercato di mettere in relazione l’allineamento dei pianeti con la distruzione del Sole e quindi la fine della vita sulla Terra. Ma questo non è accaduto”. Anche la famosa profezia dei Maya (che prevede l’apocalisse per il 21 dicembre del prossimo anno) fa riferimento all’allineamento dei pianeti. Una delle poche voci fuori dal coro degli scettici è quella di un ricercatore dell’università australiana di Adelaide, Victor Gostin, che, pur ammettendo che gli studi per prevedere gli eventi naturali (come eruzioni e terremoti) basandosi sulla disposizione dei pianeti non hanno portato praticamente a nulla, sostiene che vi sia un link tra i terremoti dell’area equatoriale e alcune delle fasi lunari poiché “le maree terrestri (analoghe a quelle marine) potrebbero essere l’elemento scatenante dei terremoti”.



Dopo il terremoto che si è abbattuto sulla città neozelandese di Christchurch erano stati ritrovati, all’ interno del monumento che raffigura il fondatore della città John Robert Godley, due oggetti: una bottiglia con all’interno una pergamena e un cilindro metallico. Un articolo, datato 1918 e pubblicato sul giornale The Colonist, raccontava del contenuto della bottiglia. Il messaggio, scritto con inchiostro di china, sarebbe: “Questa statua di John Robert Godley creata da Thomas Woolner è stata eretta sul lato occidentale della Cattedrale dal Governo Provinciale di Canterbury e inaugurata da Sir Charles Bowen il 6 agosto 1867. E’ stata spostata in questa posizione nel marzo del 1918”. Entrambi gli oggetti rinvenuti sono stati consegnati al Canterbury Museum per essere esaminati. Il cilindro di metallo non è ancora stato aperto.



Nel 2002 il Parlamento russo, con un documento firmato da quasi duecento deputati, ha espresso così il proprio parere su Haarp: “Sotto il programma Haarp, gli Usa stanno creando nuove armi geofisiche integrali, che possono influenzare gli elementi naturali con onde radio ad alta frequenza. Il significato di questo salto è comparabile al passaggio dall’arma bianca alle armi da fuoco, o dalle armi convenzionali a quelle nucleari”.
Haarp sta per High Frequency Active Auroral Research Program, si tratta di un progetto avviato nel 1992 dal Dipartimento della Difesa Statunitense con l’intento di monitorare gli strati alti dell’atmosfera e della ionosfera e di migliorare le comunicazioni radio ad ampio raggio per uso militare e civile. Dal 2007 l’impianto, situato a Gakona (Alaska), è composto da 180 antenne, disposte in quindici colonne da dodici file, con una potenza trasmittente di 3.600 kilowatt. L’Haarp, emettendo delle specifiche frequenze elettromagnetiche, è in grado di manipolare la ionosfera terrestre. La ionosfera è la fascia dell’atmosfera che si estende dai sessanta ai 450 chilometri di altitudine, all’interno della quale le radiazioni solari provocano la ionizzazione dei gas che la compongono. La ionosfera, dotata di potere riflettente per specifiche frequenze di onde elettromagnetiche, e’ molto utilizzata come specchio per le comunicazioni ad ampio raggio e la sua funzione naturale è quella di proteggere la Terra dalle radiazioni solari. Usando le frequenze idonee è possibile fare oscillare le particelle presenti negli strati più alti dell’atmosfera generando un’onda magnetica di ritorno con una frequenza molto bassa (Extreme Low frequency o Elf) in grado, ricaduta sulla Terra, di penetrare nel suolo, nel mare e in tutto ciò che si trova sul nostro pianeta, umani compresi. Aldilà delle sue applicazioni utili, Haarp è stata da più parti identificato come una potenziale arma di distruzione di massa, in grado di destabilizzare selettivamente sistemi agricoli ed ecologici di intere regioni. Secondo Natalie Bertell, presidente dell’International Institute of Concern for Public Health dal 1987 al 2004 “gli scienziati militari degli Stati Uniti stanno lavorando sui sistemi climatici come potenziale arma. I metodi includono l’accrescimento delle tempeste e la deviazione dei fiumi di vapore dell’atmosfera terrestre per produrre siccità o inondazioni mirate”. L’anno scorso il presidente venezuelano Hugo Chavez sostenne che il terremoto che praticamente rase al suolo Haiti fosse stato causato dagli Stati Uniti, come test per un futuro sisma in grado di distruggere l’Iran. In poche parole si teme che Haarp sia in grado di causare fenomeni naturali (per esempio terremoti, inondazioni e siccità) e che sia addirittura capace di agire sulla mente umana. Negli anni Sessanta vennero effettuati molti studi sul possibile condizionamento delle mente umana tramite droghe o irradiazioni elettromagnetiche. Nel corso di queste ricerche venne alla luce che irradiando con onde magnetiche a frequenza molto bassa (Elf) un soggetto umano era possibile creare in lui dei forti stati di irritazione o di ansia o di inquietudine. Molti esperti ritengono che Haarp potrebbe riuscire a creare una sorta di controllo delle masse che, mosse da un impulso non meglio identificato, darebbero vita a disordini e insurrezioni. Le tesi più cospirazioniste sostengono che dietro le recenti sommosse che hanno interessato buona parte del Nordafrica vi sia proprio l’azione “istigatrice” di Haarp.



A distanza di una settimana dal sisma di magnitudo 6.3 che ha causato la morte di almeno 154 persone a Christchurch (Nuova Zelanda) tra le rovine delle cattedrale cittadina semidistrutta sono stati ritrovati due oggetti : una bottiglia di vetro con una pergamena inserita al suo interno e un cilindro di metallo. I due oggetti sono stati ritrovati nel piedistallo della statua dedicata al fondatore della città, John Robert Godley, danneggiata dal terremoto. Sulla pergamena racchiusa nella bottiglia sono visibili due parole “by” e “erected”, ma il foglio verrà srotolato ed esaminato da esperti in un ambiente a umidità controllata per evitarne il deterioramento. Il contenuto del cilindro mettallico è invece ancora sconosciuto. John R. Godley, di origini irlandesi, fondò Christchurch nel 1850 e i due oggetti potrebbero essere stati inseriti nel piedistallo nel 1867, quando venne eretto il monumento, oppure nel 1918 quando la statua venne spostata o ancora nel 1933 quando venne ricollocata nella posizione originaria. Entrambi gli oggetti recuperati sono stati consegnati al Canterbury Museum per essere studiati. Nel frattempo si è parlato anche di un terzo misterioso reperto ritrovato tra le macerie della cattedrale di Christchurch, ma la notizia non è stata ancora confermata.