Grassottelli ma felici e solari: è un luogo comune che vorrebbe le persone rotondette spesso più sorridenti di quelle longilinee e ora uno studio della Mcmaster University canadese rivela che nell’obesità risiede una variante genetica capace anche di bloccare la depressione. Il link tra chili di troppo e allegria potrebbe dunque avere una verità scientifica. i ricercatori hanno analizzato un campione di ben 17mila persone provenienti da 21 Paesi differenti, analizzando campioni di dna e stato psicologico. In particolare nei grassi c’è l’8 per cento in meno di rischio di depressione.
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Si tratta di una variante genetica per nulla comune che è in grado addirittura di triplicare il rischio di malattia neuro-degenerativa: l’hanno individuata i ricercatori del deCODE Genetics di Reykjavik e si chiama TREM2. Le conclusioni sono state raggiunte dopo la mappatura del codice genetico di 2200 islandesi e lo studio è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine. Test genetici sono stati effettuati su 3350 pazienti malati di Alzheimer e su un campione di 110mila persone senza alcuna forma di demenza. Inutile specificare che la mutazione non comporta necessariamente la malattia, ma secondo gli esperti le probabilità di sviluppare la patologia in presenza di TREM2 sono decisamente alte.
Un team dell’Instituto Universitario Mixto de Biología Molecular y Celular de Plantas di Valencia ha messo a punto un particolare tipo di geranio che non produce polline e quindi può coesistere con chi soffre di allergia. Attraverso la manipolazione genetica, gli scienziati spagnoli hanno inserito nella pianta due nuovi geni: uno si occupa di distruggere le antere del fiore (produttrici di polline) e l’altro ha un effetto anti-invecchiamento. I fiori e le foglie sono più piccoli di quelli delle piante normali.
Per 70 anni i coltivatori di pomodori hanno cercato di ottenere frutti rossi in grado di attrarre i consumatori, ma ora uno studio della University of California – Davis pubblicato su Science sostiene che puntare sulla colorazione conduca alla disattivazione di un gene usato nella fotosintesi, fatto questo che causa una diminuzione degli zuccheri presenti nel pomodoro e una conseguente perdita di gusto.
Dal mignolo di una ragazza di 40 mila anni fa ritrovata in una grotta siberiana, gli esperti del Museo di Storia Naturale di Londra ritengono di avere compreso la vera origine degli uomini di oggi. Secondo gli studiosi inglesi infatti sarebbe possibile smentire la teoria che sostiene che gli uomini siano emigrati dall’Africa 60 mila anni fa per andare a sostituire tutte le altre razze allora esistenti. In realtà l’analisi genetica dimostra che l’uomo moderno incontrò e si incrociò con almeno due diverse specie di antichi umani: i Neanderthaliani e i Denisovani, una misteriosa razza che viveva in Asia 30 mila anni fa. La ricerca, guidata dal paleoantropologo Chris Stringer, è giunta a queste conclusioni avvalendosi delle mappature dei genomi dei Neandertaliani e dei Denisovani, realizzate dagli esperti di antropologia evolutiva del Max Planck Institute di Leipzig, in Germania. Dopo avere comparato i corredi genetici con quelli dell’uomo moderno, i ricercatori hanno determinato che un 2.5 percento di Dna neanderthaliano è presente negli esseri umani attuali che discendono da coloro che 60 milioni di anni fa lasciarono l’Africa, mentre in alcune etnie dell’Oceania è reperibile circa il 5 per cento di Dna dei Denisovani. “In un certo senso – conclude Chris Stringer – noi siamo una specie ibrida”.
La futura mamma ha appena saputo di essere in stato interessante e già sa se sarà maschio o femmina. Può già acquistare una tutina rosa o azzurra a seconda del genere e soprattutto, nel caso di patologie potenziali legate ai cromosomi sessuali, può decidere di interrompere la gravidanza.
E’ stato infatti messo a punto nei laboratori del Cheil General Hospital e dello Women’s Healthcare Center di Seoul un test per sapere quasi subito se il bimbo sarà maschio o femmina. Il rapporto tra due differenti enzimi presenti nel sangue della madre è la chiave che consente di conoscere con il 90 per cento di accuratezza il sesso del nascituro. Questo potrebbe consentire di anticipare un’eventuale interruzione soprattutto, se uno dei genitori è portatore di una patologia legata a uno dei cromosomi sessuali. D’altro canto il rischio è che il test faciliti la selezione sessuale.
Scoperta dal naturalista britannico Charles Darwin durante lo storico viaggio alle isole Galapagos nel 1835 e ritenuta estinta poco tempo dopo, questa specie potrebbe invece esistere ancora. La celebre tartaruga delle Galapagos, creduta ormai estinta, continuerebbe a vivere secondo gli scienziati di Yale e la prova starebbe nel corredo genetico delle sue discendenti ibride. Sono più di 80 infatti gli animali che sarebbero diretti discendenti della tartaruga di Darwin secondo i ricercatori impegnati nel Lazarus Project.
Circa 30 anni fa, Il professor George Church era una delle poche persone al mondo che sognava l’idea del sequenziamento dell’intero genoma umano: ogni lettera del codice che ci separa dai moscerini della frutta così come dai nostri genitori. Nel suo laboratorio venne creata la macchina in grado di decodificare il Dna e da allora ha sempre lavorato per migliorarla. Una volta sequenziato il primo genoma, Church capì che non era abbastanza avere una sequenza, ma che era necessario avere quella di chiunque. E quando qualcuno gli fece notare che i costi di quella prima lettura si aggiravano sui 3 miliardi di dollari si impegnò a costruire un altro “decodificatore”. Attualmente il costo per ottenere la mappatura del proprio Dna è attorno ai cinquemila dollari, ma Church sostiene che il prezzo calerà presto di altre 10/20 volte fino ad arrivare a costare quanto un normale esame del sangue. Secondo il genetista statunitense il sistematico sequenziamento del genoma rappresenta l’inizio di una nuova era di trasformazione e piena di possibilità paragonabile all’epoca di Internet. Ma questo non ha niente a che fare con le compagnie assicurative che vorrebbero avere l’intero genoma di ogni cliente nei loro archivi. Per Church questo è solo l’inizio del progetto, anziché il culmine di tre decenni di lavoro. Il suo obiettivo è molto più ambizioso: ora che leggere il codice del DNA è quasi semplice, vuole anche scriverlo e modificarlo. Immagina un giorno nel quale sarà sufficiente un dispositivo impiantato nel nostro corpo per identificare le prime mutazioni di un tumore o i geni di un batterio invasivo. Saremo in grado di assumere un antibiotico mirato o un farmaco in grado di annientare solo quelle poche cellule rinnegate. Un altro dispositivo capace di monitorare l’ambiente esterno, ci avvertirà di stare lontani da luoghi che minacciano la nostra salute. Una vasta gamma di malattie genetiche sarà identificata alla nascita, o addirittura durante la gestazione e minuscoli, preprogrammati virus verranno inviati nel corpo per penetrare nelle cellule compromesse e correggere i danni. Attuare le stesse cure su un corpo adulto al momento dei primi segni di malattia sarà altrettanto facile. Secondo lo scienziato americano le persone potranno arrivare a vivere 120/150 anni. “Cè sempre stato questo atteggiamento: ecco il tuo destino genetico, abituatici – sostiene Church – mentre ora l’atteggiamento è: la genetica è davvero in grado di apportare i cambiamenti ambientali che possono modificare il tuo destino”. Alto 1,93, con una folta barba grigio-rossastra, George Church è un uomo che è difficile non notare. Il cinquantasettenne genetista è al tempo stesso imponente e senza pretese. I suoi modi sono gli stessi con un collega di facoltà di Harvard o con il tecnico operativo che lo ha aiutato nella progettazione di un’apparecchiatura. Questo istinto democratico traspare anche nella sua scienza; Church è consigliere di una trentina delle aziende più evolute nel campo della genomica degli Usa, ma il suo cuore è chiaramente nel mondo accademico, dove cerca di mettere a punto la scienza di base che può dare aiuto a chiunque. Come spinge per la mappatura di sempre più genomi, spinge anche per rendere pubblici i risultati in modo tale da consentire ai ricercatori di confrontarli e di migliorare la loro conoscenza delle malattie. Al momento ne ha già messe undici sul web, compresa la sua, e punta ad arrivare a centomila. Una volta che migliaia di persone con background diversi renderanno pubblici i propri genomi e il loro stato di salute, i ricercatori saranno in grado di approfondire una vasta gamma di malattie e disturbi: dalla schizofrenia alle malattie cardiache, fino al diabete e alle difficoltà di apprendimento.
C’è una stanza climatizzata al centro del grande laboratioro diretto da Church, dove un piccolo vassoio scuote avanti e indietro campioni di Dna del batterio Escherichia coli. In un processo produttivo di quattro ore, i ricercatori possono attivare o disattivare un solo paio di basi di quel DNA, o intere regioni dei geni per vedere cosa succede. L’obiettivo è di trovare un modo per migliorare la produzione di prodotti chimici industriali o di farmaci o per testare la resistenza virale. L’apparecchio è un Multiplex Automated Genome Engineering (MAGE) di seconda generazione, costruita con l’aiuto dell’industria; il primo che si trova non lontano dall’ufficio di Church, era la sua tesi. Un altro progetto di tesi è posto proprio sull’altro lato della parete dove si trova il MAGE. Si chiama Polonator, è una macchina per il sequenziamento del genoma open source, capace di leggere e trascrivere un miliardo di coppie di basi in pochi secondi. Queste due macchine pongono il laboratorio di Church all’avanguardia della biologia sintetica, disciplina emergente che mira a rendere possibili le cose alle quali madre natura non ha mai pensato come alta efficienza, carburanti non inquinanti e virus che possono trasportare farmaci anti-tumorali in modo sicuro. Con queste macchine sta facendo per la biologia sintetica quello che ha già fatto per la genomica personalizzata: renderla più conveniente, più veloce e disponibile per tutti.
Sì, è proprio così, è stato provato che l’uomo moderno abbia avuto incontri sessuali sia con i Neanderthal che con altri ominidi simili poi estintisi chiamati Denisovans. Ma la vera notizia, ripresa da uno studio pubblicato su Science, è l’effetto benefico di questi accoppiamenti sulla nostra specie. Proprio l’eredità che ci hanno lasciato le due specie di ominidi infatti ci ha tutelato, attraverso un gene chiamato HLA e le sue varianti, dai microrganismi patogeni stimolando una forte risposta immunitaria.
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