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Dal mignolo di una ragazza di 40 mila anni fa ritrovata in una grotta siberiana, gli esperti del Museo di Storia Naturale di Londra ritengono di avere compreso la vera origine degli uomini di oggi. Secondo gli studiosi inglesi infatti sarebbe possibile smentire la teoria che sostiene che gli uomini siano emigrati dall’Africa 60 mila anni fa per andare a sostituire tutte le altre razze allora esistenti. In realtà l’analisi genetica dimostra che l’uomo moderno incontrò e si incrociò con almeno due diverse specie di antichi umani: i Neanderthaliani e i Denisovani, una misteriosa razza che viveva in Asia 30 mila anni fa. La ricerca, guidata dal paleoantropologo Chris Stringer, è giunta a queste conclusioni avvalendosi delle mappature dei genomi dei Neandertaliani e dei Denisovani, realizzate dagli esperti di antropologia evolutiva del Max Planck Institute di Leipzig, in Germania. Dopo avere comparato i corredi genetici con quelli dell’uomo moderno, i ricercatori hanno determinato che un 2.5 percento di Dna neanderthaliano è presente negli esseri umani attuali che discendono da coloro che 60 milioni di anni fa lasciarono l’Africa, mentre in alcune etnie dell’Oceania è reperibile circa il 5 per cento di Dna dei Denisovani. “In un certo senso – conclude Chris Stringer – noi siamo una specie ibrida”.



I due scheletri fossili rinvenuti in Sudafrica sono due esemplari di Australopithecus sediba, ritenuto uno degli anelli mancanti nella storia evolutiva dell’uomo. Si trattò certamente di una morte traumatica e con una lunga agonia. La femmina adulta e il giovane maschio probabilmente caddero attraverso una fessura nel tetto di una grotta e rimasero vivi per giorni o settimane con poco o niente da mangiare, prima di incontrare finalmente la loro fine. La coppia (quasi sicuramente madre e figlio)sono stati poi ricoperti dalla pioggia in una piscina sotterranea dove si sono in seguito gradualmente solidificati in roccia. Lo sfortunato episodio avvenuto quasi 2 milioni di anni fa ha fornito agli scienziati, unitamente alla conservazione della maggior parte degli scheletri fossilizzati, indicazioni preziose per comprendere di che tipo di creature si trattasse. I ricercatori che li hanno potuti esaminare in dettaglio ritengono che siano diretti antenati dell’uomo moderno. Le antiche ossa sono state estratte da sedimenti che si trovano in una grotta sotterranea a Malapa, a quaranta chilometri da Johannesburg. Il rinvenimento degli scheletri è stato reso pubblico l’anno scorso, ma in una serie di articoli pubblicati giovedì scorso sulla rivista Science, i ricercatori illustrano la prima analisi completa dell’anatomia dei due Australopithecus sediba. Dopo avere esaminato una combinazione di scansioni ad alta risoluzione e misurazioni di precisione del cranio, pelvi, mano e piede, gli autori sostengono che l’ Australopithecus in questione (detto anche scimmia meridionale) sia un antenato immediato dell’Homo erectus, diretto progenitore dell’Homo Sapiens. Lee Burger, un paleoantropologo dell’Università Witwatersrand di Johannesburg che ha guidato lo studio, ha riferito che gli scheletri possedevano un straordinario mix di primitive caratteristiche di tipo scimmiesco e tratti che definiscono gli esseri umani moderni. Almeno altri venticinque animali sono morti accanto a madre e figlio, tra questi tigri dai denti a sciabola, iene, antilopi e una forma primitiva di zebra. Nei dintorni della grotta si trovava una foresta subtropicale alpina, con boschi misti e foreste. L’Australopithecus sediba camminava eretto ed era alto circa un metro e trenta. Aveva un corpo delle dimensioni di quello di uno scimpanzè, lunghe braccia simili a quelle degli oranghi ed era molto abile ad arrampicarsi. Ma altre caratteristiche appaiono nettamente umane: “Il bacino è sagomato come quello umano, ma più lungo, quasi come quello dell’uomo di Neanderthal – ha scritto Lee Burger – le mani sono praticamente identiche alle nostre con dita brevi e un pollice lungo. E poi c’è il cervello”. I ricercatori hanno usato un potente scanner a raggi x che si trova all’European Synchrotron Facility di Grenoble, in Francia, per creare mappe molto dettagliate dell’interno del cranio di uno degli individui. All’interno della testa dell’Australopithecus sediba è stata rilevata l’impronta di un piccolo cervello (solo 420 centimetri cubi di volume) che, però, si stava apparentemente riorganizzando da una struttura primitiva in una forma più moderna. Kristian Carlson, un collega di Burger che ha lavorato sulle scansioni cerebrali, ha detto che alcune aree dell’organo appaiono più sviluppate del previsto. “Ci sono aree sopra e dietro gli occhi che risultano espanse e sono responsabili di più funzioni contemporanee, ragionamento e pianificazione a lungo termine. Queste sono caratteristiche che rispecchiano le differenze esistenti tra gli esseri umani e gli scimpanzé – ha sostenuto Carlson – questa scoperta sconfessa la teoria più diffusa secondo la quale il cervello dei nostri antenati sarebbe cresciuto di dimensioni prima di organizzarsi in maniera analoga a quello dell’uomo moderno”. Esami più approfonditi del cervello, del cranio e della mano suggeriscono che la creatura fosse intelligente a sufficienza da saper maneggiare strumenti e anche comunicare, seppure non verbalmente. Secondo gli scienziati l’Australopithecus sediba era in grado di sorridere, cosa che gli scimpanzé non sanno fare. Se la scoperta dei paleoantropologi sudafricani corrispondesse a verità colmerebbe il divario tra Lucy (che risale a 3.2 milioni di anni fa e rinvenuta in Etiopia) e l’Homo erectus che calpestava il suolo terrestre africano da 1,8 a 1,3 milioni di anni fa e che, con tutta probabilità, ha dato luogo all’uomo moderno.


Sì, è proprio così, è stato provato che l’uomo moderno abbia avuto incontri sessuali sia con i Neanderthal che con altri ominidi simili poi estintisi chiamati Denisovans. Ma la vera notizia, ripresa da uno studio pubblicato su Science, è l’effetto benefico di questi accoppiamenti sulla nostra specie. Proprio l’eredità che ci hanno lasciato le due specie di ominidi infatti ci ha tutelato, attraverso un gene chiamato HLA e le sue varianti, dai microrganismi patogeni stimolando una forte risposta immunitaria.

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