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Le voci di Mosul



Un video girato in diversi mesi da un corrispondente di BBC mostra come è cambiata Mosul dopo che i combattenti dell’Is hanno proclamato l’avvento del califfato. Gli abitanti vivono nel terrore delle punizioni brutalmente somministrate a chi viola la rigida interpretazione della legge islamica imposta dagli uomini del califfo. Moschee e templi fatti esplodere, scuole svuotate e donne costrette a indossare il niqab, senza lasciare esposte nemmeno le mani. Queste sono solo alcune delle conseguenze delle rigorose norme alle quali deve soggiacere la popolazione.
LE DONNE
Grazie alle testimonianze raccolte dal corrispondente della BBC è possibile ascoltare la voce delle persone che vivono a Mosul.
Hanaa: “L’Is è molto rigida sull’abbigliamento delle donne: dobbiamo essere coperte di nero dalla testa ai piedi. Un giorno ero così annoiata di stare chiusa in casa che ho chiesto a mio marito di portarmi fuori, anche se avrei dovuto indossare il khimar (una sorta di lungo mantello che pur coprendo tutto il corpo lascia scoperto il viso. Non ero più uscita di casa dopo che l’Is aveva preso la città. Mentre mi stavo preparando, mio marito che ero costretta a indossare il niqab (il velo nero che copre il volto). Ero scioccata e ho anche pensato di non uscire, ma alla fine mi sono calmata e l’ho messo. Siamo andati in un ristorante sul fiume che eravamo soliti frequentare ai tempi del nostro fidanzamento. Appena ci siamo seduti mio marito mi ha detto che potevo mostrare il mio volto perché non c’era nessuno dell’Is e il ristorante era un luogo per famiglie. Sono stata molto contenta di quest’ordine e così ho mostrato il mio volto con un grande sorriso. Immediatamente è arrivato il proprietario del ristorante, implorando mio marito di ordinarmi di coprire di nuovo il mio volto. I combattenti dello Stato Islamico facevano ispezioni a sorpresa e se fossi stata vista l’uomo sarebbe stato frustato. Abbiamo sentito storie di uomini frustati perchè le loro mogli non indossavano i guanti. Ai genitori di una ragazza è stato vietato di guidare la propria automobile e chi si oppone viene picchiato e umiliato. Abbiamo accettato la richiesta del proprietario. Così ho incominciato a pensare quanto la situazione sia diventata permeata di ignoranza e di crudeltà. Quando abbiamo lasciato il ristorante, ho visto un padre che cercava sua figlia, celata da un mare nero di donne”.
PERSECUZIONE DELLE MINORANZE
Mariam (ginecologa e cristiana): “Chi mi conosce sa che sono un’avida lettrice e fiera proprietaria di una grande collezione di libri. La mia biblioteca ha continuato a crescere grazie ad amici e parenti che dopo aver lasciato l’Iraq mi spediscono i loro libri perché sanno che io non me ne andrò di qui e che ne avrò cura. In passato sono stata intimidita e minacciata da estremisti sunniti, ma ho continuato a fare partorire le donne di qualunque religione e ceto sociale.Non ho mai fatto discriminazioni poiché credo che ciascuno abbia diritto a pari trattamento. Comunque sono dovuta scappare da Mosul e ne sono uscita illesa, ma la mia anima è rimasta dove l’ho lasciata: a casa con i miei libri. Dopo essere andata a Irbil (nel Kurdistan iracheno) ho ricevuto notizie scioccanti: lo Stato Islamico aveva confiscato casa mia e l’aveva marchiata con la lettera N (Nasrani, cristiano). Ho immediatamente telefonato ad alcuni amici pregandoli di mettere in salvo i miei libri. Troppo tardi, poco dopo infatti mi hanno richiamato per dirmi che la mia libreria era stata svuotata per strada. Per fortuna alcuni miei vicini sono riusciti a salvare alcuni preziosi volumi che ora sono ben nascosti.
INTIMIDAZIONE, PUNIZIONE E TORTURA
Zaid: “Da quando l’Is ha preso la città è stata applicata la “Legge del Califfato” per la quale la punizione più lieve sono le frustate che vengono comminate anche solo per avere fumato una sigaretta. I ladri vengono puniti con l’amputazione della mano, gli uomini adulteri vengono lanciati dal tetto di un alto edificio mentre le donne vengono lapidate. Le punizioni sono pubbliche per intimidire la gente che spesso è costretta ad assistervi. Conosco molte persone che sono state arrestate dall’Is,
alcuni erano miei parenti. Qualcuno è stato ucciso, altri sono stati liberati e hanno raccontato inimmaginabili storie di atrocità vissute in prigione. Molti dei rilasciati preferiscono non parlare, stanno in silenzio perché sono terrorizzati dalla paura di venire nuovamente arrestati.
Fouad: “Sono stato arrestato dall’Is, sono venuti a casa mia perché cercavano mio fratello e non trovandolo hanno preso me. Mi hanno torturato e il tizio che lo faceva si fermava solo quando era troppo stanco per continuare. Era sempre nervosissimo e non ascoltava nemmeno ciò che dicevano i prigionieri. Mi ha frustato con un cavo elettrico e mi ha torturato anche psicologicamente. Quando mio fratello si è costituito, è venuto fuori che le accuse contro di lui erano false, ma io sono rimasto in prigione. Mi hanno picchiato così forte che ancora oggi i segni sono visibili sulla mia schiena”.
DISTRUZIONE DELLA VITA QUOTIDIANA
Hisham: “La vita quotidiana è cambiata in modo indescrivibile. Chi era un militare o un impiegato non ha più nessuna entrata perché non c’è più lavoro. I ricchi
possono contare sui loro risparmi, quelli con uno stipendio annaspano, ma i poveri sono stati lasciati alla pietà di Dio. Io ho perso il lavoro e sono stato costretto ad abbandonare gli studi. Mi sono stati negati i miei diritti più basilari. Secondo l’Is tutto è haram (vietato) e così sono finito a stare tutto il giorno a casa senza niente da fare. Persino attività come i picnic sono vietate a Mosul con il pretesto che comportano spreco di tempo e denaro. Is prende un quarto dello stipendio di chiunque, considerandolo un contributo per la ricostruzione della città. Non ci si può rifiutare, pena punizioni durissime. L’Is controlla tutto: gli affitti vengono pagati a loro e gli ospedali sono accessibili solo per chi vive all’ombra della bandiera nera. Hanno persino rimpiazzato gli imam delle moschee, sostituendoli con loro affiliati. Molti di noi hanno smesso di frequentare la moschea perché lì viene richiesto un giuramento di fedeltà che noi odiamo. Nel frattempo mio fratello è stato punito con venti frustate per non avere chiuso il suo negozio durante la preghiera. Come se si potesse imporre la religione con la forza”.
INDOTTRINAMENTO E SORVEGLIANZA
Mahmoud: “Mio fratello di dodici anni ha continuato ad andare a scuola nonostante fosse controllata dall’Is. Abbiamo pensato che, non essendoci alternative, avrebbe continuato ad avere un qualche tipo di istruzione e che questo sarebbe stato sempre meglio di niente. Ma un giorno sono tornato a casa e l’ho trovato che stava disegnando una bandiera dell’Is mentre cantava una delle loro canzoni. Mi sono infuriato e ho iniziato a sgridarlo, ho preso il disegno e l’ho fatto in mille pezzi davanti a lui. E’ scappato piangendo da nostra madre. L’ho avvertito che se avesse ancora disegnato quella bandiera o cantato quelle canzoni lo avrei picchiato, gli avrei proibito di vedere gli amici e non gli avrei più rivolto la parola. Lo abbiamo immediatamente tolto da quella scuola poiché abbiamo preferito non avesse alcuna istruzione piuttosto che quella promossa dall’Is. Sono giunto alla conclusione che l’obiettivo dell’organizzazione sia quello di piantare nelle menti dei bambini i semi della violenza, dell’odio e della discriminazione”.



Fortunatamente l’espianto è avvenuto nel 2003 da una statua di bronzo che raffugurava l’ex dittatore iracheno. Mentre i marines americani schiantavano al suolo l’effige del tiranno, l’ex militare inglese Nigel Ely si appropriava della poco nobile porzione di metallo e dopo averla riportata in patria, l’ha messa in vendita attraverso una società specializzata nel commercio di cimeli di guerra, la Trebletap. L’uomo è accusato di avere violato l’Iraqi Order Sanctions, una legge che regola e difende la proprietà culturale irachena, impedendo l’esportazione di qualunque oggetto di natura archeologica, storica o religiosa. Nigel Ely si difende sostenendo che quel pezzo di metallo sarebbe stato fuso e chiedendo “come è possibile considerare una proprietà culturale una statua eretta dal peggiore tiranno dopo Attila?”



Chris Kyle ha esitato la prima volta che ha ucciso una persona da lunga distanza con il suo un fucile. La sua prima vittima è stata una donna che stava per attaccare un gruppo di marines con una bomba a mano. I Navy SEAL stavano controllando una città irachena da un edificio fatiscente mentre le forze armate americane stavano invadendo il paese. I militari videro arrivare la donna soltanto all’ultimo momento. “Sparale” ordinò un superiore a Kyle, che balbettò: “Ma….”. “Spara!” ordinò di nuovo il capo e quando il militare fece fuoco la donna cadde al suolo, lasciando cadere la granata. Questa è stata la prima volta ma, dopo quattro missioni in Iraq, il soldato americano ha imparato a non esitare e a mirare con precisione. Con 255 uccisioni (anche se quelle confermate dal Pentagono sono “soltanto” 160) l’ormai ex cecchino è diventato il tiratore più mortale nella storia militare degli Stati Uniti. Nel corso della seconda battaglia di Falluja, mentre i marines si scontravano con migliaia di ribelli iracheni, Kyle uccise quaranta uomini. Grazie alle sue prestazioni ha stabilito il nuovo record americano, detronizzando il sergente Adelbert f. Waldron che, durante la guerra del Vietnam, si era fermato a 109. Sempre in Vietnam, Carlos Hathcock, un cecchino diventato famoso al punto da diventare il soggetto di un libro (One Shot, One Kill) aveva colpito a morte 93 persone da lunga distanza. Ma nonostante gli impressionanti numeri Kyle è rimasto assai lontano dal diventare il più letale al mondo. Il triste primato spetta infatti al soldato finlandese Simo Häyhä che fece fuori 542 soldati sovietici durante la seconda guerra mondiale. Chris Kyle è un cowboy di Odessa (Texas) e prima di arruolarsi in Marina era un professionista del rodeo. E’ cresciuto cacciando cervi e fagiani con un fucile regalatogli da suo padre. Ma fino al suo ingresso nei marines non si era mai accorto di avere una mira particolarmente precisa. Durante la sua missione a Ramadi, a causa della fama che la sua quasi infallibile mira gli aveva procurato tra gli insorti iracheni, venne soprannominato “Al-Shaitan Ramad” (il diavolo di Rahmadi) e sulla sua testa pendeva una taglia di ventimila dollari. “Ho pensato: oh sì! – ricorda Kyle, rievocando il momento nel quale venne a sapere dall’intelligence militare del denaro che veniva offerto per ucciderlo – ne sono onorato”. I suoi commilitoni lo chiamano semlicemente “the Legend”. Il colpo più “leggendario” lo ha sparato a Sadr City nel 2008, centrando e uccidendo un iracheno armato di lanciarazzi appostato lungo la strada di un convoglio militare, a 2.100 yard (1.920 metri) di distanza. “Dio soffiò su quel proiettile” ha dichiarato il marine al New York Post . Chris Kyle si è ritirato dal corpo dei marines dopo dieci anni di servizio e ora ha deciso di raccontare la sua storia nel libro “American Sniper: The Autobiography of the Most Lethal Sniper in U.S. Military History”, uscito martedì scorso negli Stati Uniti. Kyle, che ha ricevuto tre Silver Star e cinque Bronze Star al valore, è stato colpito due volte e per ben sei volte è rimasto coinvolto in esplosioni. Chris Kyle, dopo la prima volta non ha mai più esitato a sparare se non per il tempo che gli serviva per prendere la mira e di questo non ha rimorsi : “il nemico è un selvaggio – ha sottolineato sprezzante – i miei rimpianti sono per le persone che non ho potuto salvare: marines, soldati, compagni. Io non sono un ingenuo e non idealizzo la guerra; i momenti peggiori della mia vita li ho vissuti nei SEAL. Ma io mi posso presentare davanti a Dio con la coscienza pulita, perchè ho fatto solo il mio lavoro”. Dopo avere abbandonato la carriera militare, il cecchino più letale del mondo, che vive a Dallas con la mogli e due figli, ha creato la propria azienda (Craft International) specializzata nel fornire a militari e forze dell’ordine corsi di tiro da lunga distanza e impegnata anche sul fronte della protezione e della sicurezza private.



Il governo iracheno è indeciso sul da farsi visto che distruggere una qualsiasi copia del libro sacro della religione mussulmana è vietato, ma lo è altrettanto utilizzare il sangue per redigerne un volume. Saddam Hussein, il leader iracheno impiccato il 30 dicembre 2006, dopo che suo figlio Udai sfuggì a un attentato, forse organizzato da uno dei suoi fratelli nel 1996, si riavvicinò alla fede islamica e pare che si sia fatto prelevare ventisette litri di sangue per consentire a un calligrafo, Abbas Shakir Joody al-Baghdadi, di compilare un intero volume del Corano. Il libro è nascosto all’interno della grande moschea di Baghdad in una cripta protetta da tre porte blindate, le cui cui chiavi furono affidate dal rais a tre personalità politico-religiose del paese in modo che nessuno potesse avere accesso singolarmente alla reliquia. Lo sceicco Ahmed al-Samarrai, a capo del Fondo delle sovvenzioni sunnite, ha dichiarato: “Quel libro non ha prezzo, di sicuro vale molti milioni di dollari. Ma (Saddam) ha sbagliato a fare quel che ha fatto, scrivere con il sangue è proibito”. Secondo Ali al-Moussawi, porta-voce del Primo Ministro Nour al-Maliki: “Dovremmo conservare quella copia del Corano come una testimonianza della brutalità di Saddam. Racconta un sacco di cose su di lui, ma ciò nonostante non troverà mai posto in un museo perchè nessun iracheno lo vorrà mai vedere. Forse, in futuro, potrà essere messo in mostra in un museo privato così come si fa con gli oggetti appartenuti a Hitler o a Stalin”. Il Corano scritto col sangue di Saddam Hussein consta di 114 capitoli e di oltre 300.000 parole e, ricordandone la stesura, il calligrafo che lo ha redatto ha dichiarato: “Non vorrei parlare di questo adesso. È un momento doloroso della mia vita che vorrei dimenticare”.

I piccoli missionari della Florida



Al giorno d’oggi non si può studiare solo per diventare professori, ingegneri, medici o avvocati. I bambini della Florida possono anche studiare da missionari: se sentono una predisposizione ad aiutare il prossimo, se credono nel cristianesimo e vogliono portare il verbo di Dio per il mondo, se si sentono sufficientemente avventurosi, pratici e combattivi esiste una scuola che prepara i missionari in erba a un futuro di evangelismo, solidarietà e spiritualità.
Alla Teen Missions International, situata nelle vicinanze di Orlando e amichevolmente ribattezzato The Lord’s Boot Camp, viene insegnato infatti a bambini di nove anni come impastare il cemento, nuotare in acque tumultuose e, soprattutto, come diffondere il Cristianesimo nel Mondo. Ogni estate centinaia di bambini e ragazzi (sono ammessi fino ai 18 ani) si radunano in quest’area di 250 acri per dormire in tenda e imparare a cavarsela da soli anche nella giungla, alle prese con la scarsità idrica, le zanzare e i disagi di una vita senza comodità. Qualcosa come un campo scout, ma incredibilmente più duro e ambizioso. E soprattutto ogni stagione estiva questi piccoli aspiranti missionari imparano l’arte di evangelizzare il prossimo, districandosi in posti come il Belize, l’Uganda, il Malawi o la foresta amazzonica dove vanno a sensibilizzare i bimbi meno fortunati su molti temi e soprattutto su Cristo. Il fondatore ottantaduenne, Bob Bland, avverte i genitori: “Se cercate un campo estivo di divertimento per i vostri ragazzi avete sbagliato posto!”.
La prossima fermata per i piccoli missionari sarà l’Irak. Resta poi tutto da vedere se e quanto a una così tenera età si possa veramente decidere, e in piena libertà, una vita da missionari felici.