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Cani al volante


dogdriving
Non si tratta di pessimi guidatori ma di veri e propri quattro zampe che una charity neozalendese, la Society for the Prevention of Cruelty to Animals (SPCA) di Auckland, sta addestrando a guidare un’automobile. Sono tutti cani abbandonati e l’intento dell’SPCA è quello di dimostrare le capacità degli animali e far comprendere ai potenziali nuovi padroni la possibilità di insegnare “nuovi trucchi” ad animali già adulti.
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Un team di designer di San Diego ha creato una curiosa macchina monoposto a forma di uovo che promette alle persone che vivono nelle metropoli ad alto traffico di evitare interminabili code. La macchina, finalista alla Sierra Nevada Innovation Challenge, è elettrica e verrà messa in vendita negli Usa a 5.000 dollari.



La showgirl è la protagonista di un breve video nel quale simula la sofferenza di un cane lasciato in auto durante una calda giornata estiva. Lo spot, realizzato per conto di Peta, si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che un animale lasciato in auto può morire in pochi minuti.



La novantatreenne americana Rachel Veitch ha percorso 927 mila chilometri alla guida della sua Mercury Comet Caliente acquistata nel febbraio del 1964. Ora la donna (4 figli, nove nipoti e undici pronipoti), affetta da cecità, è costretta a vendere la sua vettura, poichè ritiene che i suoi parenti non presterebbero le necessarie attenzioni dell’amato veicolo.



Il quarantaquattrenne Peter Skyllberg è sopravvissuto in un’auto rimasta completamente coperta dalla neve in un bosco. Del tutto isolato e al gelo, non lontano dalla città svedese di Umea, per due mesi si è nutrito solo di neve. L’auto è stata avvistata da un giovane, che ha notato il tetto di un’auto che spuntava dalla neve e ha subito chiamato i soccorsi. Il protagonista della vicenda era scomparso il 19 dicembre scorso e probabilmente è riuscito a restare in vita grazie all’aria che circondava la sua vettura coperta dalla spessa coltre di neve che ha prodotto una sorta di effetto igloo, mantenendo la temperatura vicina a zero gradi, mentre quella esterna si aggirava sui meno trenta. L’uomo, denutrito e semi assiderato, è stato ricoverato presso l’ospedale locale e attualmente le sue condizioni di salute sono buone, infatti potrebbe venire dimesso tra pochi giorni.

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Si fa presto a decantare tutti quei simpatici detti sulle donne al volante, ma la verità è che la guida è fatta anche di posteggi. Anzi, soprattutto di posteggi per chi si destreggia tra il traffico urbano. E in questo aspetto non certo marginale della guida il gentil sesso dimostra la sua assoluta superiorità. Alla faccia di tutte le barzellette e vignette e battute che circolano sulla guida rosa.
Lo testimonia uno studio inglese che, paragonando le abilità messe in campo al momento di parcheggiare un veicolo, vede nelle donne le migliori. Le signore infatti sono risultate essere molto più precise nel posteggiare la macchina e nel trovare gli spazi idonei per farlo mentre i maschi, sebbene più confidenti nella guida, sono molto più disordinati al momento di parcheggiare. La ricerca è stata promossa dall’azienda di parcheggi NCP, che ha monitorato 2.500 conducenti attraverso i 700 parcheggi distribuiti in territorio britannico. Ma lo studio sul posteggio e le differenze di genere è solo uno dei tanti studi che le aziende del settore stanno promuovendo sulle diversità tra maschi e femmine nella guida. e può essere che presto venga smontato qualche altro clichè…


La reazione è nota: basta immergere una o più caramelle Mentos in una Coca Cola, possibilmente Light per provocare la cosiddetta “eruzione”, vale a dire una rapidissima formazione di schiuma che fuoriesce dalla bottiglia o dalla lattina che contiene la bibita. Di questo semplice fenomeno fisico c’è chi ne ha fatto un mestiere, o quasi. Fritz Grobe e Stephen Voltz, scienziati pazzi di EepyBird, gruppo che, come da presentazione sul sito dedicato, si occupa di: “esplorare la creatività e, in particolare, i modi nei quali oggetti di uso comune possono fare cose straordinarie”. E quindi Coca Cola e Mentos, ma anche aereoplani di carta e shampoo. E ora proprio grazie alla bibita gassata e alle caramelle, i due sono riusciti a far muovere un veicolo, il Mark II, per un tragitto lungo poco più di cento metri. Sono state necessarie 324 Mentos e 54 bottiglie di Coca Cola e un semplice sistema a pistone con un asta lunga sei piedi che scorreva all’interno di un tubo di pari lunghezza per ognuna delle bottiglie. Una volta inserite le caramelle, la pressione ha spinto le aste fuori dai tubi, che hanno scaricato la forza generata dall’eruzione contro una paratia di legno posta alle spalle del veicolo, consentendo il bizzarro record. Il duo di scienziati, in realtà uno e un performer e campione mondiale di giocoleria e l’altro avvocato, aveva già provato a far muovere una specie di macchina con la stessa miscela (per il Mark I avevano usato ben 108 bottiglie di bibita e 648 mentine), ma il test si era concluso dopo pochi metri.
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Grazie a un mix di modelli computerizzati e all’uso della risonanza magnetica funzionale in futuro si potrebbe, il condizionale è d’obbligo, visualizzare i pensieri nella mente di un paziente in coma o guardare un proprio sogno su YouTube. A sostenerlo sono gli scienziati della University of California – Berkeley, che ritengono di essere molto vicini a realizzare questi scenari futuristici, dopo essere riusciti a decodificare e ricostruire le esperienze visive dinamiche, in questo caso si trattava di trailer cinematografici, di alcuni volontari. Per il momento la tecnologia messa a punto nei laboratori californiani è in grado di riprodurre soltanto ciò che è stato visto ma in linea teorica spiana la strada a riprodurre i “film” che abbiamo nella mente e che nessun’altro può vedere, come per esempio i sogni e i ricordi.
“Questo è un grande passo avanti verso la ricostruzione delle nostre immagini mentali” ha detto il professor Jack Gallant, neuroscienziato della UC Berkeley e coautore dello studio pubblicato sulla rivista online Current Biology “Noi stiamo aprendo una finestra sui film della nostra mente”. Le applicazioni pratiche di questa tecnologia potrebbero portare a una migliore comprensione di ciò che accade nella mente delle persone che non possono comunicare verbalmente, come le vittime di ictus, pazienti in coma e persone con malattie neurodegenerative. Potrebbe inoltre rappresentare le basi per l’interfaccia cervello-macchina e consentire alle persone affette da paralisi cerebrale o paralisi di usare un computer semplicemente con l’uso del cervello. Tuttavia i ricercatori sottolineano che saranno necessari decenni prima che la tecnologia messa a punto nei laboratori californiani consenta agli utenti di leggere i pensieri e le intenzioni altrui. Gallant e e i suoi colleghi ricercatori hanno iniziato registrando l’attività cerebrale nella corteccia visiva mentre un volontario osservava delle fotografie in bianco e nero. Quindi hanno costruito un modello computerizzato che ha permesso loro di prevedere con precisione quale immagine stava guardando. Procedendo nella sperimentazione, i ricercatori sostengono di essere riusciti a fare molto di più, vale a dire decodificare i segnali cerebrali generati da figure in movimento. “La nostra esperienza visiva naturale è paragonabile al guardare un film – ha detto Shinji Nishimoto, a capo dello studio – “Affinché questa tecnologia possa venire applicata, dobbiamo capire come il cervello elabora queste esperienze visive dinamiche.” Nishimoto e due altri membri del team di ricerca si sono prestati come volontari per l’esperimento (la procedura richiede di rimanere all’interno dello scanner MRI per diverse ore alla volta). I tre hanno guardato due insiemi distinti di trailer di film di Hollywood, mentre grazie alla risonanza magnetica funzionale veniva misurato il flusso sanguigno attraverso la corteccia visiva, la parte del cervello che elabora le informazioni visive. Sul computer il cervello era suddiviso in piccoli cubetti tridimensionali conosciuti come pixel volumetrici, o “voxel”. “Abbiamo costruito un modello per ogni voxel che descrive come le informazioni di forma e movimento del film vengano mappate dall’attività cerebrale” ha aggiunto Nishimoto. L’attività cerebrale registrata mentre i volontari osservavano la prima serie di clip è stato inserita in un software che ha imparato, secondo dopo secondo, ad associare i modelli visivi del film con la corrispondente attività cerebrale. L’attività cerebrale evocata dalla seconda serie di video è stato utilizzata per testare l’algoritmo di ricostruzione del film. Questo è stato fatto inserendo 18 milioni di secondi di video selezionati casualmente da YouTube nel software in modo da consentire la previsone dell’attività cerebrale che ogni filmato avrebbe molto probabilmente evocato in ogni soggetto. Infine, le 100 clip che il programma ha giudicato fossero le più simili a quelle che i volontari avevano probabilmente visto sono state assemblate per produrre una ricostruzione sfocata ma continua del film originale. “Ricostruire il film usando scansioni cerebrali è stato impegnativo poiché i segnali del flusso sanguigno misurati utilizzando la risonanza magnetica funzionale cambiano molto più lentamente rispetto ai segnali neurali che codificano le informazioni dinamiche nei film – sottolinea Nishimoto – Per questo motivo, la maggior parte dei precedenti tentativi per decodificare l’attività cerebrale si erano concentrati su immagini statiche. Abbiamo affrontato questo problema attraverso lo sviluppo di un modello in due fasi che descrive separatamente i sottostanti segnali neurologici e sanguigni”.



E’ stato ricostruito utilizzando i Lego il primo computer della storia, la macchina di Anticitera (che risale al 150 a.C.), conosciuto come il primo calcolatore moderno della storia. A ideare il progetto di ricostruzione è stato l’ingegnere e designer di software per Apple, Andrew Carol.

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